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Richiedi Scheda Tecnica Project MartaChina Purple è un’installazione ambientale imponente, un assemblaggio di diverse tipologie di mobili in radica tagliati, composti e ricomposti, misurante 247 x 400 x 504 cm. Si tratta di un pezzo di una stanza immaginaria realizzata in prima persona da Favelli, abitabile ma anche osservabile dall’esterno. Le mensole e i ripiani contengono cinque vasi di ceramica dell’Amarena Fabbri ed alcune plafoniere con tubi e insegne al neon. Il peso complessivo si aggira intorno ai tre quintali.
La prima occasione in cui China Purple è stata esposta ha coinciso anche un suo utilizzo specifico come “vetrina” per presentare alcune opere di artisti, invitati ad esporre durante i venti anni di attività di Viafarini, il committente dell’opera.
Estratti dall’intervista tecnica a Flavio Favelli:
“L’arte è parallela alla vita, con cui deve mantenere una certa distanza; io vivo questa esistenza e poi cerco di crearne un’altra, perché quello che passa il convento non è granchè. E questo mondo artificiale ha le sue realtà, coi suoi ambienti e le sue cose. Compresi i nomi che vengono dalle mie immagini e queste immagini hanno origine da luoghi reali vissuti e rielaborati e ri-immaginati e luoghi ideali. Questo scomporre e ricomporre le cose è una pratica direi letteraria e psicologica oltre che artistica.”
“[…] questi mobili di radica appartengono ad un’epoca che ho vissuto, sono come quelli che erano nella casa delle vacanze e che evocano, solo con la loro presenza, tante questioni, tanti ricordi, tante immagini nuove. […] Li considero cose, oggetti, non materiali. I materiali hanno qualcosa di sacro, le cose e gli oggetti sono sante; per dire che c’è un qualcosa in più, un gradino in più, uno sviluppo. Le cose hanno nomi, storie, particolarità, i materiali no.”
“La scelta e la durevolezza è una questione di urgenza. Trovi la cosa che corrisponde e basta, il resto viene dopo e conta poco. Certo, una conoscenza bisogna averla, ma tutto deve essere sacrificato per avere l’opera, oltre alla sua immagine, una sua foto. Dopo può cascare il mondo. […] La mia condizione psicologica non comprende una qualcosa che abbia a che fare con la durevolezza o l’attenzione per il futuro delle mie opere o, che so, il mio archivio. Sarebbe troppo dispendioso e complicato ordinare la distruzione di tutte le mie opere dopo la mia morte, ma se si potesse fare spingendo solo un bottone…”
“A livello espositivo, basta che qualcuno non vada sopra al pavimento. Per Viafarini era un’opera fruibile, un ambiente abitabile, ma poi ho deciso che era importante vederla e basta.”